L’esperienza del muro nasce come micro progetto all’interno del laboratorio di espressività corporea integrata che si svolge nel reparto Psichiatrico Diagnosi e Cura (S.P.D.C.) dell’ospedale S. Giovanni Addolorata di Roma il cui responsabile è il Dott. Walter Gallotta.
L’idea è nata un giorno mentre percorrevamo l’androne che precede l’entrata nel reparto. In questo spazio diverso tempo fa è stato eretto un muro di cartongesso che aveva la funzione di separare l’ambiente antecedente l’S.P.D. C, in cui i pazienti passano del tempo, anche solo per fumare o “prendere aria” e l’ambiente deputato alle visite mediche dell’ospedale e al pagamento dei ticket.
La sensazione che avevamo percorrendo il corridoio era quella di sfiorare, ogni volta, non solo un muro, ma un muro esteticamente brutto, qualcosa messa lì “alla buono e meglio” ma con una precisa funzione: una vera e propria barriera architettonica.
Ci siamo allora dette che sarebbe stato interessante “spostare” il lavoro che svolgevamo con i pazienti all’interno del reparto, lì fuori, sul muro. Il pretesto era quello di renderlo meno squallido e più gradevole alla vista, ma contemporaneamente si lavorava sul processo trasformativo del singolo paziente e del gruppo.
Ci piaceva che il tema della malattia mentale intesa come qualcosa da ghettizzare, isolare, nascondere magari proprio attraverso un muro, fosse il filo conduttore del nostro lavoro e potessimo così inventarci, insieme ai pazienti, un modo nuovo per affrontarla e trattarla utilizzando i linguaggi artistici.
Il micro progetto è iniziato con l’ approvazione del primario e con l’adesione ,alla nostra proposta di collaborazione, degli altri due laboratori attivi nel reparto, quello di musicoterapia e quello di scrittura collettiva. Ognuno di noi ha mantenuto la piena autonomia all’interno del proprio laboratorio ma abbiamo condiviso, sin dall’inizio, il progetto terapeutico e la sua organizzazione generale.
Laboratorio di espressività corporea (Dott.ssa Elena La Puca, dott.ssa Francesca Barbieri).
Per quanto riguarda il nostro laboratorio, il lavoro iniziava spesso all’interno del reparto con esperienze psico-fisiologiche o altre esperienze a base corporea per poi, in qualche modo, “transitare” fuori dal reparto e trovare uno spazio di memoria sulla superficie del muro. Parte importante e strutturante del lavoro, è stata la gestione dello “spazio interno”, inteso come mondo interiore , e dello “spazio esterno” come luogo fisico di proiezione dei propri vissuti, da condividere con gli altri e di cui avere rispetto.
La proposta era quella di integrarsi agli altri attraverso i propri lavori, di sfiorarsi a volte, molto spesso incontrarsi ma mai sovrapporsi, mai cancellare e quindi mai nascondere.
Molto interessante è stato accorgersi di come le esperienze corporee e i giochi espressivi compiuti all’interno del “setting reparto” trovassero,poi, un altro modo per essere raccontati fuori e quindi rivissuti dai singoli pazienti attraverso altre forme espressive come il colore, l’impronta, il disegno, il racconto e la composizione attraverso materiali diversi (lana, ritagli di giornale, carta).
Ad un certo punto del lavoro è stato evidente ai nostri occhi come il muro, da ostacolo, fosse diventato una possibilità, una risorsa, un sostegno, un grande contenitore, qualcosa con cui giocare, e soprattutto qualcosa che ci aiutasse a non dimenticare ciò di cui si ha bisogno. Il muro stava diventando uno spazio relazionale, dove s’intrecciavano vissuti ma soprattutto stava diventando un corpo “vivo e parlante”.
Il setting atipico del “muro” poneva più difficoltà per la gestione del gruppo, in quanto spazio più aperto, meno controllabile e quindi più dispersivo. Nello stesso tempo, però, ci ha permesso con più facilità, di coinvolgere pazienti molto gravi o reticenti che, sostando fuori per una sigaretta o per prendere un po’ d’aria, sono entrati nel lavoro, dapprima, come “semplici” osservatori, e poi incuriositi, hanno partecipato lasciando contributi molto significativi e ritrovando quel senso di leggerezza, frutto dell’esperienza del lasciarsi andare…
Qui di seguito raccontiamo brevemente alcune delle esperienze più significative del progetto:
• La sagoma dalla personalità multipla.
Segnalare i confini del corpo attraverso le proprie mani; creazione di una sagoma umana sul muro (il corpo è stato “prestato” da uno dei pazienti).
Il gruppo gli ha dato un nome e ha colorato le diverse parti del corpo con il colore che pensava potesse rappresentarle e lo ha riempito di particolari e di elementi. In ultimo gli è stata data un’espressione.
• “Qui dentro”.
Dopo aver giocato con il soffio delle bolle di sapone, il gruppo esprime proprie immagini e sensazioni rispetto al “qui dentro” inteso come vissuto sia all’interno del reparto e quindi dell’ospedalizzazione sia rispetto al proprio mondo interiore. Successivamente il gruppo viene invitato a portare i contenuti dell’esperienza “lì fuori” sul muro, scegliendo la propria modalità.
• Il “collage”: scomporre per ricomporre.
Lavoro con ritagli di immagini o frasi di giornali; i pazienti hanno composto un proprio collage personale aggiungendo altre immagini o scrivendo un racconto o una storia ai ritagli da noi proposti.
• Lavoro sul muro: “la mia gioia”.
Scegliamo il colore della gioia; cos’è la gioia per ognuno di noi?
Disegniamo liberamente la gioia sul muro
• Lavoro a tema sul giorno della memoria: 27 gennaio
Riflettendo sul senso della memoria e in particolare sull’olocausto, il gruppo ha prodotto immagini e pensieri..che si sono tradotti poi in versi…arrivando a comporre una poesia integrando i pezzi di ciascuno. Ognuno ha poi scritto sul muro il proprio verso. Il gruppo ha poi deciso il titolo della poesia e un nome unitario con cui firmarsi: Gli esposti dell’S.P.D.C.
• Esperienza dell’elastico e dello spazio.
Esplorazione libera dello spazio;
Un grande elastico poi ci ha racchiusi tutti. Abbiamo lavorato sui vari distretti del corpo appoggiandoli di volta in volta sull’elastico, facendo esperienza delle possibili flessibilità dello spazio: lo “stretto” e il “ largo”.
Alla fine dell’esperienza abbiamo riportato i vissuti sul muro.
• Ricomincio da te:
A partire dall’osservazione dei lavori già esistenti, i partecipanti sono stati invitati a scegliere uno spazio su cui lavorare con la possibilità di aggiungere, integrare o proseguire tracce già esistenti e creare così una nuova e personale immagine.
Laboratorio di Musicoterapia (Dott. Davide Marzattinocci).
Non ho avuto difficoltà nell’accettare la proposta di entrare in contatto, attraverso il lavoro di musicoterapia, con il muro. Ho sempre avuto l’impressione che quel muro fosse collocato in un punto liminale, tra il dentro e il fuori. Un luogo dove il paziente resta per fumare, parlare, passeggiare; un luogo che non è il reparto ma nemmeno il giardino, la strada, la città. Insomma, un luogo quasi dentro e quasi fuori. Il muro taglia in due il corridoio, lo restringe della metà ed è perciò vicino a chi entra nel reparto a tal punto che è quasi impossibile non accorgersi di lui, entrarci in contatto, sentire la sua presenza fisica. Se dunque lui entra in contatto con noi, noi possiamo stabilire un contatto con lui.
Mi sono chiesto, date le particolari condizioni del contesto, come far entrare in contatto i pazienti e la loro musica con il muro. Difficile sarebbe stato lavorare nell’immenso corridoio dove c’è il muro; troppo dispersivo lo spazio, luogo stretto di passaggio. Poi ho pensato che si sarebbe potuto trasportare la musica sul muro, farla uscire dalla sala del reparto dove si fa il laboratorio, sotto un’altra forma: impressa su un grande foglio con segni e colori. Nel mio laboratorio già utilizzavo, durante momenti di improvvisazione musicale, attaccare ad una parete un grande foglio e sotto di esso mettere colori di tutti i tipi. Così chi voleva, poteva suonare e/o disegnare e contribuire a tracciare su carta una impressione dell’improvvisazione musicale. Svaniva il suono dell’improvvisazione e persa era la sua irripetibilità, ma il foglio colorato (oppure scritto con parole e frasi) ne conservava il senso. Ad ogni incontro (date le caratteristiche dell’SPDC il gruppo è sempre diverso) spiegavo del muro e della sua posizione tra il dentro e il fuori e poi presentavo il foglio vuoto che sarebbe stato messo a comporre un altro tassello del muro. Alla fine dell’incontro avveniva il rituale del trasporto del foglio dal reparto al muro; poi alcuni pazienti commentavano il risultato, altri aggiungevano qualcosa che non avevano avuto il tempo di mettere, altri, tra quelli che stavano nel corridoio, intervenivano con commenti o direttamente aggiungendo qualcosa.
Così ad ogni incontro un nuovo foglio andava ad integrarsi a quello ch’egli altri laboratori avevano creato. E la volta dopo, nell’arrivare al reparto, prima del laboratorio, era bello perdersi nel lungo muro tra scritte e colori per scoprire cosa era stato aggiunto e cosa non c’era più.
Dott.ssa Elena La Puca, psicologa, danzatrice, arteterapeuta.
Dott.ssa Francesca Barbieri, psicologa, arteterapeuta.
Dott. Davide Marzattinocci, Arteterapista ad orientamento psicofisiologico, attore e regista.
“Laboratori in S.P.D.C: L’esperienza del muro”
Pubblicato in
Nuove ArtiTerapie
La mediazione artistica nella relazione d’aiuto
N.1 /2008
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